Il territorio della Contrada dell'Istrice secondo il bando del 7 gennaio 1729 della Governatrice di Siena e del suo Stato Principessa Violante Beatrice di Baviera: "Dalla Porta di Camollia per la Strada Maestra da ambo le parti si porti fino alla dirittura della Piaggia che porta alla Lizza e Poggio Malavolti dalla Casa dei Signori Francesconi e di lì salga a man destra solamente alla Scuola di Cavallerizza e non compreso il Palazzo Malavolti, occupi la Lizza tutta con la Fortezza siccome le case della Piaggia che va a S. Petronilla, la strada tutta di Campansi e Pignattello, con quelle che portano a Fontegiusta."
Il territorio della Contrada Sovrana dell’Istrice occupa la parte più settentrionale di Siena, compresa nell’ideale triangolo che ha per lati maggiori una metà circa del tratto di mura che parte dalla Barriera di San Lorenzo e il segmento su cui si apre la Porta di Pescaia o di Fontegiusta, lati che poi si riuniscono nel vertice rappresentato da Porta Camollia. Verso il centro della città la Contrada confina per brevi tratti con i territori della Lupa e del Drago, per estendere gran parte della sua superficie nelle zone verdi dei giardini della Lizza e della Fortezza Medicea.
Tutta la zona può essere compresa nel toponimo di Camollia, con l’omonima via che costituisce la sua spina dorsale, iniziando dalla Porta e terminando all’innesto con l’attuale Via Garibaldi, per entrare poi in Via Montanini, l’ultimo pezzo della quale appartiene anch’essa all’Istrice.
Sia il tratto detto di Camollia sia la porzione di Via Montanini sono due spezzoni della antica Via Francigena che attraversava Siena e a cui la nostra Città deve sicuramente gran parte della sua antica e straordinaria fortuna.
La zona di Camollia è citata per la prima volta in un documento del 1028, col quale il vescovo di Firenze, Lamberto, sanciva i diritti dei frati fiorentini di San Miniato al Monte sulla chiesa senese di San Pietro apostolo (l’attuale Magione), richiamandone la collocazione, appunto, nel borgo detto di Camullia.
Il borgo non era a quel momento incluso nella città murata e vi venne inserito più di un secolo dopo, alla metà del Duecento, quando l’insediamento, prima limitato, era divenuto ben più cospicuo, tanto da prestare il suo nome ad uno dei terzi in cui ancora si divide la città.
Questo ci offre qualche spunto per affrontare l’origine del nome Camollia, intorno a cui si sono scervellate numerose schiere di eruditi e storici.
La prima ipotesi si trova all’interno del mito della fondazione di Siena, la leggenda, già popolare nel XV secolo, che dotava di più ampie basi la ormai consolidata paternità romana della nostra città. Oltre alla ben diffusa immagine della lupa romana con i gemelli, già ben presente nell’iconografia senese dagli inizi del secolo precedente, nel corso di un ampio rinnovamento degli ambienti del Palazzo Pubblico destinati alla Balia e ai suoi uffici, venne scelto come tema esortativo al buon governo non più la elaborata didattica martiniana e lorenzettiana, bensì l’esempio diretto di uomini illustri: in primo luogo il pontefice senese Alessandro III Paparoni che prevalse su Federico Barbarossa, la rassegna delle cui storie furono assegnate al pennello di Spinello Aretino, ma anche una schiera di eroici cittadini romani, attori di ruolo non secondario nella creazione della Roma caput mundi.
Tra di essi, il pittore senese Taddeo di Bartolo, nel 1414, raffigurò Marco Furio Camillo, ricordando come il condottiero, durante l’inseguimento dei Galli Senoni che avevano minacciato seriamente i romani, si fosse fermato su un colle prospiciente la nostra città, dandogli il proprio nome.
Ma fu il cardinale Francesco Todeschini Piccolomini, che poi sarebbe stato eletto papa col nome di Pio III, che diede espresso incarico ai suoi sodali di contrastare la tesi offensiva, escogitata dal cronista fiorentino Giovanni Villani a inizio Trecento, ma poi ripresa un secolo più tardi dall’umanista Flavio Biondo nella sua illustrazione dell’Italia, secondo i quali, in mancanza di prove documentali in grado di attestare le ipotesi invalse, Siena sarebbe stata fondata da senes, vecchi soldati franchi non più in grado di combattere, abbandonati qui da Carlo Martello durante la sua campagna contro i Longobardi.
Fu Agostino Patrizi, in gioventù stretto collaboratore di Pio II e poi vescovo di Pienza, che estese un opuscolo, più ufficiale, dove conciliava l’origine celtica con quella romana di Siena, riconducendo la sua nascita al momento dello scontro tra Brenno, re dei Galli, e l’eroico Camillo. I due eserciti avrebbero permesso ai veterani dei rispettivi eserciti di fermarsi sui nostri colli e questi avrebbero dato vita alla città.
Ma il Patrizi, dietro lo pseudonimo di Tisbo Colonnese, diede vita anche alla ricostruzione fantasiosa che fu poi quella che fece più presa nel’immaginario collettivo e venne maggiormente considerata autentica. Secondo questa storia, subito dopo la fondazione di Roma lo spietato zio Romolo avrebbe cercato in ogni modo di eliminare Aschio e Senio, figli di Remo, poichè potevano costituire un rischio per le sua ambizioni di potere, mandando suoi emissari a intercettarli sui colli senesi dove si erano rifugiati. Come è noto Senio avrebbe fondato un castello sull’altura poi detta Castelsenio, mentre gli inviati di Romolo, Montonio e Camillo, predisponendosi a intervenire contro i fuggitivi, si sarebbero accampati sui due coli posti a sud e a nord dell’altro, imponendo il loro nome ai siti che li ospitavano.
La tesi fu ripresa, a inizi Cinquecento, da Sigismondo Tizio il massimo storico senese dell’età antica che fu peraltro parroco della antica chiesa dei Santi Vincenti a Anastasio, attuale Oratorio dell’Istrice, che diede a queste notizie suggestive quanto campate per aria, dignità sistematica e fondò una storiografia che sarà concorde per alcuni secoli, almeno fino a inizio Settecento, quando lo storico Giovanni Antonio Pecci contestò la consolidata tesi, sostenendo che il toponimo derivasse dal latino casa mulierum, casa delle donne, senza peraltro specificare se si riferisse alla tradizionale cospicua presenza nella zona di Camollia di case di tolleranza o di monasteri femminili, istituzioni del resto presenti in abbondanza in ogni altra zona della città.