Bassorilievo risalente al XV secolo posto sulla muratura posteriore del Palazzo Pieri ubicato in via Camollia. Visto lo stato di degrado del Tabernacolo, Kamullia Onlus ha deciso di impegnare le proprie risorse per restiruire al territorio un’opera di notevole bellezza, fino ad allora poco visibile. I lavori, iniziati nel maggio 2021 fino a luglio 2021, sono stati eseguiti dalla Alchemy di Fortuna Maria e Simone s.n.c.
Spese sostenute per il restauro:
Alchemy di Fortuna Maria e Simone s.n.c.: Euro 5.673,00
Spertello: 549,00
Bollo ISP: 48;00
Cenni storici a cura di Mauro Civai:
Il tabernacolo posto sulla muratura posteriore del Palazzo Pieri ubicato in via Camollia, presenta aspetti di forte interesse. Il fatto di trovarsi su un edificio di elevato valore, posto sulla “via maestra” e legato a una famiglia di importante tradizione e prodiga di personaggi che hanno poi avuto esperienze di rilievo e incarichi prestigiosi, depone a favore di una committenza rivolta ad un artista o piuttosto a una bottega di fama consolidata e garantita maestria.
Il manufatto è posto su una zona ad alta intensità religiosa dove in virtù della sua posizione appartata, agirono a lungo varie comunità ecclesiali rendendo appropriata la collocazione di una immagine mariana, rivolta al raccoglimento e alla preghiera dei passanti.
Il piccolo bassorilievo è stato datato agli ultimi decenni del Quattrocento e ne sono stati indicati come autori alcuni dei nomi più celebri della contemporanea scultura senese che pure ebbe molti valenti testimoni, nei tanti cantieri che la Repubblica avviava al tempo per perpetuare la scommessa verso la perfezione già accesa nell’epoca gotica, da pochissimo trascorsa.
Si è infatti accennato, riguardo alla possibile paternità del tabernacolo, in un primo momento, ai modi di Lorenzo di Pietro detto il Vecchietta, genio multiforme, impegnato soprattutto in numerose imprese allo Spedale di Santa Maria della Scala.
Più di recente si è invece affacciato alla mente degli studiosi il nominativo di Giovanni di Stefano, il figlio del Sassetta, finora poco considerato nel ricco elenco degli scultori senesi tardo rinascimentali, ma che negli ultimi anni ha visto riportare al suo catalogo molte opere di elevata qualità.
Giovanni, con la sua frequentata bottega, è stato noto finora più per la sua capacità di giudizio e organizzativa prima che per la sua cifra personale di artista. L’Operaio del Duomo, Alberto Aringhieri, lo volle come suo principale collaboratore dopo pochi mesi dal suo insediamento, nel 1480, per la realizzazione della cappella che doveva contenere la reliquia più preziosa che Pio II aveva regalato alla cattedrale, il braccio di San Giovanni Battista.
Giovanni di Stefano, “figlio d’arte”, seppe comunque coniugare i filoni principali che avevano orientato l’arte plastica a Siena al suo tempo, prima muovendo dalle lezione senesissima di Jacopo della Quercia a inizio secolo e poi sublimatisi grazie alla grande portata innovativa dei numerosi lavori realizzati proprio nella nostra città dal grande Donatello. L’ultimo di questi fu proprio la straordinaria immagine del Battista che veglia sulla predetta reliquia del Santo, nella cappella che Giovanni realizzò su disegno di Francesco di Giorgio e con l’aiuto dell’allora giovanissimo Lorenzo di Mariano, il Marrina, attivo in gran parte della decorazione.
In questa e nelle altre opere che gli sono ormai riconosciute, come le lupe di Porta Romana, Giovanni di Stefano raggiunge una sintesi esemplare tra la pienezza classica dei volumi proposta da Antonio Federighi e il tratto ben più nervoso e vibrante di Lorenzo di Pietro, il Vecchietta, sapendo comunque esprimere tali concetti in uno spazio di ridotta e ridottissima profondità, come suggerito dai modi del genio fiorentino.